In costruzione due nuovi studentati nell’ex area di Expo 2015, 1.152 posti letto legati a un piano economico‑finanziario di un fondo immobiliare. Il prezzo “pieno” di un posto a tariffa calmierata è di 425 euro al mese. E ogni richiesta di canoni accessibili diventa un attacco al modello di rendita costruito su MIND.

Da Expo a MIND: un’enclave per la rendita
Per capire cosa sta succedendo rispetto agli studentati in fase di realizzazione a MIND bisogna tornare indietro a 10 anni fa, quando l’area Expo smette di essere un’esposizione universale e rischia di diventare una cattedrale nel deserto: cosa fare di un milione di metri quadri iper‑infrastrutturati, pagati a caro prezzo con soldi pubblici, ma senza un acquirente?
Nel 2011 nasce Arexpo, società a maggioranza pubblica partecipata da Regione Lombardia, Comune di Milano, Fondazione Fiera Milano, Provincia di Milano e Comune di Rho, con un compito preciso: comprare le aree, metterle a disposizione di Expo 2015 Spa e poi ‘valorizzarle’ nel dopo Expo.
A favore di Expo 2015 spa viene costituito un diritto di superficie per costruire i padiglioni, Arexpo resta proprietaria dei terreni.
Nel 2014, prima ancora che l’esposizione apra i cancelli, Arexpo tenta la carta più semplice: vendere tutto in blocco con una gara internazionale. Non si presenta nessuno. L’area è troppo grande, troppo incerta, troppo rischiosa.
È in quel vuoto che nasce MIND – Milano Innovation District: un distretto misto pubblico‑privato, diviso in 28 stralci funzionali, con tre “ancore” pubbliche di peso – nuovo ospedale Galeazzi, Human Technopole, campus scientifico dell’Università Statale – a fare da magneti per la valorizzazione immobiliare.
Nel 2020 il Programma Integrato di Intervento (PII) MIND viene approvato congiuntamente dalle giunte di Rho e di Milano.
La grande area ex Expo non è più solo un terreno: è un pezzo di città da riempire di funzioni e mettere a rendita.

Lendlease, Arexpo e il campus: l’università come garanzia a lungo termine
Per rendere bancabile l’operazione, serve un grande sviluppatore privato. Una gara individua Lendlease come partner. Arexpo gli concede diritti di superficie per 99 anni su una fetta enorme del sito, attraverso una “concessione base” e una “concessione aggiuntiva”. In cambio, Lendlease paga canoni, anticipi, realizza urbanizzazioni, accetta vincoli su servizi e housing sociale.
Il campus scientifico della Statale viene a sua volta affidato in project financing: la società di progetto Academo srl (Lendlease) costruisce gli edifici e li gestisce per trent’anni, mentre l’università paga un canone annuo omnicomprensivo di circa 20 milioni di euro per 30 anni. Il campus, insomma, è contemporaneamente: un’infrastruttura universitaria; un flusso garantito di cassa per il privato; un tassello fondamentale per dare valore al distretto.
Intorno a questo asse si incastrano le “opere ancillari”: tra queste, gli studentati convenzionati per gli studenti del campus.
Due studentati, un fondo immobiliare: chi garantisce il diritto allo studio?
La residenza universitaria, nel PII MIND, non è un elemento di contorno. È uno degli strumenti con cui Arexpo e il soggetto attuatore devono assolutamente dimostrare di rispondere a un vincolo preciso: realizzare almeno 30.000 m² di “housing sociale”, anche sotto forma di studentati e abitazioni a canone convenzionato.
Con la determinazione dirigenziale 746/2025, il Comune di Milano approva gli schemi di convenzione per la gestione di due residenze per studenti dentro il PII MIND, negli stralci funzionali A04 e A14. Il soggetto attuatore è il Fondo Cervino – Comparto B, gestito da REAM SGR, mentre il soggetto gestore è Pro Habitare srl.
Non stiamo parlando di un dormitorio universitario tradizionale, ma di un’operazione immobiliare di un fondo chiuso riservato a investitori professionali.

Synapsis: lo studentato che “fa” housing sociale
Localizzato nel lotto 4.3 all’interno dello stralcio funzionale A04, sviluppa fino a 14.000 m² di Superficie Lorda di Pavimento Pubblica (SLPP) destinata a studentato. Di questi, nella convenzione di gestione si cristallizzano 12.497 m² effettivi di SLPP a residenza universitaria, che concorrono alla quota di housing sociale dell’Accordo di Programma. La residenza ospiterà 506 posti letto, tutti “convenzionati”: 200 posti DSU (tariffa calmierata), 306 posti a tariffa convenzionata.
Genesis: lo studentato che non è housing sociale
Nello stralcio funzionale A14, lotto 14.1, vengono localizzati fino a 18.000 m² di SLPP per un secondo studentato. La convenzione ne dettaglia 13.982 m² per residenza universitaria, più 603 m² per bar/ristorazione. Qui i posti letto sono 646, così ripartiti: 200 posti DSU (tariffa calmierata); 346 posti a tariffa convenzionata. C’è poi il tema delle permanenze brevi. La Convenzione urbanistica di MIND prevede che in tutti gli studentati i posti letto che restano liberi possano essere affittati solo per periodi molto brevi, comunque non superiori a un mese. In più, nel secondo studentato – quello sullo stralcio A14 – è previsto un blocco strutturale di 100 posti “short stay”, regolati da contratti di massimo trenta giorni, non rinnovabili. Nel primo studentato, quello di housing sociale sullo stralcio A04, questi 100 posti non ci sono, ma anche lì il gestore può usare i letti non assegnati a DSU o convenzionati per permanenze brevi. In pratica, entrambi gli studentati possono funzionare, nei vuoti, come ricettività a tempo molto ridotto; Genesis, in più, ha un pezzo di struttura pensato fin dall’inizio per il turn over rapido.
Questo secondo studentato non concorre alla quota di housing sociale. È definito come “servizio di interesse pubblico e generale” ai sensi dell’art. 5.4 della Convenzione Urbanistica: non è housing sociale, ma un servizio che aumenta lo “standard qualitativo” dell’area.
Sommando i due corpi si arriva a un totale di 1.152 posti letto, di cui 400 DSU, 652 convenzionati e 100 di breve durata.
Quanto costa davvero un posto “calmierato”?
La parte forse più interessante non sta nelle premesse, ma nelle tabelle allegate alle convenzioni: gli estratti del Piano Economico‑Finanziario (PEF) per i due studentati.
Nel Piano economico-finanziario dello studentato dello stralcio A04, i posti destinati al diritto allo studio prevedono per un letto in camera doppia all’interno di un appartamento condiviso un canone mensile di 285 euro, cui si aggiungono 140 euro obbligatori per i servizi (utenze, pulizie, wi-fi, gestione degli spazi comuni). Il costo complessivo è 425,20 euro al mese per undici mesi l’anno per ogni posto letto DSU.
Le convenzioni non dicono quanto di questa cifra paghi lo studente, parlano solo di tariffe “calmierate”. I famosi 250 euro al mese sono la quota che il gestore – in dichiarazioni pubbliche – indica a carico dello studente: il resto dovrebbero coprirlo università ed enti per il diritto allo studio con soldi pubblici. Per il fondo, però, il posto DSU continua a valere 425 euro: il calmiere non riduce la rendita, la sposta sui bilanci pubblici.

Posti convenzionati, permanenze brevi, servizi: la macchina dei ricavi
Le tabelle del PEF dei lotti A04 e A14 non fissano solo le tariffe, ma anche il tasso di riempimento atteso: per i posti annuali DSU e convenzionati viene stimata un’occupazione media del 98%, mentre per le permanenze brevi a tariffa giornaliera, compresi i 100 posti “short stay” di Genesis, il tasso di occupazione dei posti è del 60%. Su queste ipotesi il piano economico stima circa 9,8 milioni di euro: circa 3,85 milioni dal primo studentato (Synapsis) e 5,95 milioni dal secondo (Genesis), sommando canoni e servizi per gli 11 mesi accademici e il periodo estivo. A fronte di costi operativi complessivi nell’ordine di 4,9 milioni di euro l’anno, il margine lordo per rientrare dell’investimento e remunerare il capitale si aggira quindi su quasi 5 milioni di euro l’anno. Non è il bilancio di una struttura di welfare, ma quello di un asset immobiliare progettato per generare un flusso stabile di rendita.
Come previsto dalle convenzioni, canoni e tariffe dei servizi sono quelli del PEF e possono essere indicizzati all’inflazione; eventuali contributi pubblici (per esempio PNRR) permettono di rivedere il piano, ma “fermo restando l’equilibrio economico‑finanziario della gestione”. In altre parole, non si tratta di una struttura di welfare: è un asset immobiliare progettato per produrre un flusso stabile di rendita.
Quando l’housing sociale non è più sociale
Da una parte, la Convenzione Urbanistica e l’Accordo di Programma parlano di housing sociale, servizi di interesse pubblico, diritto allo studio, residenze universitarie come “servizio alla città”.
Dall’altra, la razionalità economica usa un altro vocabolario: tariffe, “occupancy”, costi operativi, rendimento.
Per il Comune e per la retorica pubblica, l’intervento serve a “rispondere alla crescente domanda abitativa degli studenti e a sostenere lo sviluppo del campus universitario”. Per il fondo, serve a rientrare di un investimento immobiliare e a garantire un ritorno stabile agli investitori.
La promessa di uno studentato “di interesse pubblico” per il diritto allo studio poggia su un equilibrio molto stretto: 400 posti DSU che nel PEF valgono comunque 425 euro al mese a letto, calmierati solo grazie a contributi pubblici; criteri ISEE che selezionano chi entra ma non abbassano le tariffe; la speranza che qualche fondo PNRR consenta aggiustamenti senza toccare l’equilibrio economico‑finanziario. In pratica, lo studentato MIND è “di interesse pubblico” solo finché il pubblico non mette in discussione il piano di rientro.
Abbassare i canoni: un tabù contabile, non una legge di natura
Qui sta il nodo politico. Quando si chiedono studentati davvero accessibili la risposta è sempre la stessa: “non si può”. I canoni sono fissati nel Piano economico-finanziario, che è stato approvato dal Comune. Quindi, ogni ritocco rischierebbe di rompere l’“equilibrio economico‑finanziario” della gestione. Ma questo equilibrio non è una legge di natura: è il risultato di scelte precise. Si è deciso di affidare gli studentati a un fondo immobiliare privato e di garantirgli un certo rendimento. Cambiare i canoni è possibile, ma significa decidere chi paga quella differenza: ridurre il margine del fondo, aumentare il contributo pubblico oppure rimettere mano al modello MIND, spostando spazio e risorse dalla rendita all’housing sociale vero. Dire “non si può” è, in fondo, un modo elegante per dire che non si vuole toccare la rendita immobiliare.

MIND, Rho e il territorio: un distretto che vive su due città
C’è poi un ultimo elemento, che spesso scompare nella narrazione milanocentrica: MIND non è solo Milano.
Il PII è stato approvato congiuntamente dalle giunte di Milano e Rho; la Convenzione Urbanistica è firmata anche dal Comune di Rho, che partecipa alla definizione di housing sociale, servizi, funzioni di interesse pubblico.
L’accesso principale al distretto, per chi arriva in treno o in metro, è la stazione Rho‑Fiera. Gli studentati, il campus, le strutture sanitarie e di ricerca vivranno, ogni giorno, di flussi che attraversano Rho: studenti che cercano casa in affitto, lavoratori che si spostano, servizi che si spingono oltre il perimetro dell’ex area Expo.
Parlare di studentati MIND significa quindi parlare anche di politica urbana a Rho: quale housing sociale, quali affitti privati, quale spazio per chi resta fuori dal recinto brillante del distretto.
Chiamare le cose con il loro nome
Se si leggono le carte ufficiali, lo studentato di MIND appare come un servizio di interesse pubblico, un pezzo di housing sociale pensato per “rispondere alla domanda abitativa degli studenti” e garantire “un alto livello di qualità dei servizi”. Se però si passa ai Piani economico‑finanziari, il quadro cambia: qui la residenza universitaria è trattata come un prodotto finanziario, con un investimento intorno ai 100–110 milioni di euro e un margine lordo per ripagare debito e remunerare gli investitori.
È tra questi due piani – il linguaggio del servizio pubblico e quello dell’asset immobiliare – che si decide il futuro concreto del diritto allo studio: non solo per i 1.152 posti letto di MIND, ma per tutti i nuovi studentati che arriveranno, da Città Studi al resto dell’area metropolitana. Se continuiamo a chiamare “di interesse pubblico” oppure “housing sociale” ciò che è progettato prima di tutto per far tornare un piano di rientro dal debito, ogni battaglia per canoni accessibili verrà presentata come tecnicamente impossibile e politicamente irragionevole. La posta in gioco, in fondo, è questa: smettere di chiedere alla città di adattarsi ai piani dei fondi immobiliari e pretendere che siano i fondi ad adeguarsi al diritto alla città.
